Il ricamo è terapeutico? Per noi appassionate la risposta è scontata: naturalmente sì! Concentrarsi su un lavoro, farsi completamente assorbire dall’ago e dal filo, allevia cattivi pensieri, tumulti interiori, ferite del corpo e dell’anima. Parliamone.
Questo post trae origine da un articolo di Clare Hunter, autrice di Threads of Life. A History of the World Through the Eye of a Needle [qui su Amazon, qui su BookDepository]: penso che il libro lo comprerò, nonostante le recensioni non molto positive, pare che pecchi un pochino di superficialità, magari aspetto che sia scontato.
Clare racconta come a casa sua, nella Glasgow del dopoguerra, la macchina da cucire, le scatole di bottoni, il cestino da lavoro, fossero il simbolo del tepore e della sicurezza della famiglia. Il suo primo colpo di fulmine è stato entrare in una merceria per scegliere tele di lino, aghi, fili e forbicine: quel piccolo tesoro era il primo lusso tutto suo, una cosa bella che le apparteneva. In questo le somiglio molto, perché uno dei ricordi più belli che ho sono le borse di stoffine regalatemi dalla nonna, e le incursioni al Bazar di Cles (si chiamava proprio così, non so se esista ancora, vendeva di tutto, compreso articoli per ricamo) per comprare i fili durante le vacanze estive passate da lei.
È stata la madre ad insegnare a Clare a ricamare, a “scrivere” sul tessuto la sua storia, il suo mondo.
Ciò che la affascinava, era l’esigenza di concentrazione, la tranquillità, il ritiro nella quiete famigliare, il fatto che il ricamo le avesse dato il suo spazio intimo esclusivo, visto che tutto il resto doveva condividerlo con i fratelli.
L’amore per il cucito come piacere privato non l’ha mai lasciata, l’ha accompagnata anche nella sua carriera, nella sua vita d’artista, e nel modo più bello: ha ideato progetti per coinvolgere persone socialmente emarginate, incoraggiandoli a creare lavori che potessero raccontare la storia della loro vita. Il ricamo si è quindi trasformato da attività solitaria in collettiva, creando una comunità coesa dalla passione.
Anche qui mi ci ritrovo: la mia solitudine ricamosa, trova condivisione nella bellissima comunità che mi segue sul blog.
Facendo ricerche per il suo libro, studiando il significato sociale, emotivo e politico del ricamo, Clare scopre però che non sempre è stato così.
Durante la seconda Guerra mondiale, le donne che nei campi di prigionia cucivano coperte o ricamavano vestiti, non lo facevano certo con lo stesso spirito. Ognuna cuciva chiusa in se stessa, in solitudine, reclamando così la sua individualità immersa nella folla, nell’atmosfera claustrofobica del campo dove era considerata solo un numero: attraverso il suo lavoro, recuperava tempo per se stessa e con l’ago affermava la sua identità.
Ruth First, attivista anti-apartheid, durante il suo periodo di reclusione in isolamento, usava il lavoro di cucito per non perdere il controllo del tempo: sul retro, ricamava linee per segnare i giorni, e ne cuciva di più o di meno come atto di ribellione e autoconservazione.
Oggi, nelle carceri della Gran Bretagna, l’organizzazione Fine Cell Work coinvolge centinaia di uomini nel ricamare oggetti da vendere online o su commissione. Anche loro cuciono da soli nelle loro celle e trovano sollievo dalla pesantezza della vita carceraria attraverso gesti ripetitivi e la bellezza delle creazioni (che, una volta scontata la pena, potrebbero diventare un lavoro).
Niente di nuovo: dopo la prima Guerra mondiale, i medici facevano ricamare i reduci sotto shock: un metodo straordinariamente efficace per stabilizzare le mani e guarire le ferite mentali. Un’opportunità di guarire e guadagnare qualcosa vendendo i manufatti, preziose entrate per chi non possedeva niente e aveva la necessità di ricostruire la propria autostima.
Il binomio uomini di guerra/lavori di cucito sembra strano, ma è da lì che è nata la terapia occupazionale che esiste tuttora.
Sono molti gli studi che esplorano il rapporto tra creatività e benessere: soprattutto per chi soffre di malattie mentali, l’immersione nel lavoro ripetitivo e ipnotico dell’artigianato, solleva dai tumulti interiori.
Ma noi lo sappiamo bene, quante volte ci rifugiamo nel nostro piccolo spazio di bellezza per superare ansie e dolori?
Clare racconta delle notti passate a ricamare assistendo la madre morente, io ho fatto la stessa cosa con mio padre: è proprio allora che ho ripreso in mano l’ago dopo tanto tempo, in modo spontaneo, quasi mi avesse cercato lui, per offrirmi un modo per sopravvivere al dolore, per questo amo tanto il ricamo.
È riconosciuto come il cucito sia un modo efficace per combattere la depressione: la sua esigenza di concentrazione, la sua tranquillità, calma la mente e allevia lo stress. Il senso di realizzazione aiuta la salute mentale e migliora il sistema immunitario e di focalizzazione.
Oggi, attraverso i social media, le persone fragili possono interagire e far vedere i loro lavori senza dover affrontare la folla. Ci sono blog appositi, come Sewcialist, dove ognuno può condividere la propria storia.
Anche per chi soffre di demenza ci sono benefici: i ricordi vengono trasformati in trame, in forme di comunicazione con gli altri.
Così, anche nell’era dei social media, in cui siamo sempre più distanti gli uni dagli altri, il ricamo, questa arte apparentemente solitaria, ci salva dall’isolamento unendoci gli uni agli altri, facendo lavorare le mani e la mente in armonia per trasmettere ciò che c’è nel nostro cuore. Un senso di sé e di appartenenza.
Un post davvero interessante, penso anch’io che i lavori manuali siano terapeutici perché oltre a tutti gli effetti da te ben elencati stimolano anche la fantasia, la voglia di creare un progetto, di perseverare nel portarlo avanti.
RispondiEliminaQuello che ti chiedo, se fosse possibile, per chi come me non sa ricamare perché non ci parli dei punti base per un ricamo semplice ma di soddisfazione. Buona continuazione di giornata e grazie.
sinforosa
Che bello il tuo post Irene molto interessante come sempre, io come te condivido la mia passione ricamosa solo sul blog xchè nella vita reale nessuno che conosco ama il punto croce o altro arti manuali (magli o uncinetto) e se ne parlo con qualcuno che conosci anche solo per dire una cosa che mi piace ,alla prima occasione ho richieste di lavoro (sempre gratis) e sembra quasi che tutto si faccia in uno schiocco di dita,forse è per questo che preferisci condividere solo con chi sa cosa significa creare qualcosa con le proprie mani.
RispondiEliminaCiao Irene, quante cose nuove ho scoperto grazie al tuo post, che il ricamo sia terapeutico lo so per esperienza personale... grazie per le innumerevoli cose interessanti che condividi
RispondiEliminaCarissima, quante verità questo tuo post.... peccato che troppe persone restano solo al margine di quest'effetto terapeutico o addirittura nemmeno si immaginano quanto sia salutare il ricamo. Per cui propagare quest'arte non può che far bene:)) un abbraccio e buona settimana e anche se caldo si ricamaaaa
RispondiEliminaSono proprio contenta di aver conosciuto il tuo blog, perchè ci sono sempre molte informazioni interessanti come in questo post. Leggendolo mi ha fatto ripensare a quando ero bambina che andavo a casa delle mie amiche con la borsetta del ricamo ... e a maglia... la mia prima copertina era piena di buchi... ed ero felice condividere il mio lavoro con loro. E' proprio vero che ricamare fa bene, tiene lontano i pensieri dolorosi. Io ricamo da sola, ma sono contenta, mi rilasso molto... anche perchè da noi è considerato un lavoro da "vecchiette" ed è quasi dimenticato...
RispondiEliminaIncredibile Irene ogni volta ci insegni qualcosa, la scorsa settimana durante una sosta in autogrill ho visto il libro del pomodoro e ti ho pensata. Ricordo ancora cosa ci hai riportato qualche tempo fa sui consigli di Mary Corbett anche solo pochi minuti al giorno per le nostre passioni ed ora il ricamo come terapia. Anzi cromoterapia perché la vista di tanti colori dei fili da ricamo mette di buon umore. Perché vedere cosa siamo capaci di creare ci stupisce. Ai miei tempi alle ragazzine insegnavano i punti da ricamo al Grest estivo. Oggi non c'è tempo dobbiamo avere tutto e subito il tangibile. Per fortuna esiste ancora questo "mondo parallelo" di persone che come noi prendono in mano ago,filo stoffa e la mente va...
RispondiEliminaGrazie Ilaria del tuo meraviglioso commento ♥
EliminaHi Irene! Just got back home from a nice week at the beach and was so happy to see a new post from you. I always enjoy to read your posts. This one is so true. I've found stitching relieves anxiety and helps me through the bad times too. Thank you for a good read. RJ@stitchingfriendsforever
RispondiEliminaPer me, nei mesi di gravidanza, è stato davvero terapeutico. Sono una persona abbastanza ansiosa e concentrarmi sul ricamo, ma anche nei lavori a maglia, mi ha aiutato a rilassarmi :)
RispondiElimina